Testo nato da un lavoro di Educazione Civica su
“La valutazione e la riduzione del rischio sismico e idrogeologico in Italia. Non aspettiamo il prossimo disastro”.
Si consiglia la lettura solo agli addetti alle storie di fantascienza con finali post-apocalittici e agli amanti del dramma. Com’è che si dice? Uomo (ma anche non uomo) avvisato….
Barbato Piera, ormai ex-alunna della VBL, A.S. 2020/2021, ISIS S. G. Bosco
Ma siamo sicuri?
Prologo
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 18:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
Suono di sirene, movimento incontrollato di massa, colori che si mescolano tra loro. Manca poco. Quanto tempo è passato. Osservo tutto dalla finestra di casa mia; le luci mi abbagliano ma mi sforzo di guardare il più lontano possibile. Dannazione, ho dimenticato gli occhiali…lo sapevo, non sarei mai dovuta andare a spedire quella lettera al Regno n° 53.
Non importa, ormai è tardi, e poi non voglio rovinarmi i giorni della festa della Libertà universale.
Ricordo ancora quando chiamavo questo periodo “Natale”: non è passato troppo tempo, eppure sembra che mi abbiano riprogrammata per farmi vivere infinite vite, come fanno con molti di loro.
Basta, inutile perdersi in ricordi, stanno per arrivare.
Sempre seduta sotto la grande vetrata che mi separa dalla realtà esterna, mi porto la tazza fumante alla bocca e il vapore che ne fuoriesce mi arriva in faccia e mi riscalda il naso freddo. Ancora mi chiedo come io sia finita proprio nel mondo in cui la temperatura massima registrata sia di 10°C nel migliore dei casi. Avrei di gran lunga preferito finire nel 300, lì sì che la temperatura è gradevole. Lascio che il liquido caldo entri nella mia bocca e scenda attraverso l’esofago. Mi meraviglio di me stessa, ancora ho in mente qualcosa di quelle lezioni di scienze del professor Maccantelli, quando ancora andavo al liceo… quando ancora esisteva la Terra.
Suona il campanello e sobbalzo. Lancio uno sguardo rapido all’orologio attaccato alla parete della cucina, accanto al trasportatore di cibo. Mi dirigo verso la porta chiedendomi perché continuo a tenere quell’oggetto antiquato in casa, quando qui non esiste il tempo, o almeno non come lo vivevamo noi umani.
Apro la porta e finalmente vedo i miei due esseri preferiti in tutto l’universo.
–Tata!
–Ecco i miei piccoli! Avete impostato il linguaggio umano, vero? Altrimenti “Tata” non vi capisce, lo sapete già.
In realtà li capivo, ma non gliel’avrei mai detto. Già che non potevo parlare con quasi nessuno della mia specie, che almeno i piccoli sapessero il mio linguaggio. Un po’ di orgoglio per la mia “razza”, suvvia. Ne aveva passate tante. E la loro madre… beh, lei era -ed è- troppo permissiva nel non fargliela imparare.
–ZZXEVIAL…
–Fai poco lo spiritoso Cc32. Il fatto che non vi capisca non significa che non percepisca quando vuoi prendermi in giro.
–Dai, facci entrare, lo sai che glielo imposto io il linguaggio quando veniamo da te.
Mi faccio da parte, accostandomi alla porta e lasciando spazio per far passare i piccoli. Quando mi passano davanti, per correre a lanciarsi sul divano, li colpisco dietro la nuca. Piccole pesti…potrete anche non essere “bambini” nel senso che ho ancora registrato nella mia mente, ma vi comportate allo stesso modo. Alzo lo sguardo verso l’adulta che è di fronte a me. Ha una busta in ognuna delle due mani -finalmente qualcuno che ne ha solo due-.
–Che c’è? Chiedo un po’ scocciata, ma so che quando mi guarda in quel modo è perché sta per dire qualcosa che sa che mi darà fastidio. Sono brusca, ma la mia vita ha preso pieghe che non mi sarei mai immaginata, non è facile. Soprattutto se ho davanti qualcuno che ha vissuto con me tutto questo e che in qualche modo è sempre stata speciale, forse anche più di un’amica.
–Buon Nat …
–Non ti azzardare.
–La puoi smettere di essere così dura con me? O è solo una tua tecnica per spostare, anche solo per poco, tutta la durezza che solitamente dirigi a te stessa?
–Smettila di fare questi giochetti psicologici con me, non servono a niente. E no, fino a quando cercherai di ricordarmi cose che non voglio. Che poi, per essere precisi, questa sarebbe stata la notte di Capodanno.
–Vedi che sei tu la prima a volerlo ricordare?
–Un conto è che io lo voglia ricordare, Martha, un conto è parlarne e far finta di essere ancora in quel tempo. Non è così. Non voglio illudermi e nemmeno tu dovresti continuare a farlo. È tutto finito, e la colpa è solo nostra.
Adesso mi guarda con un po’ di odio nello sguardo, e mi dispiace. Mi dispiace essere tanto dura, ma così deve essere, devo essere. Lascia di colpo le buste a terra e si gira, come a volersene andare. A volte, in alcuni momenti di spiccata lucidità e franchezza verso me stessa, mi chiedo come possa ancora sopportarmi.
–È suonata da poco la sirena del coprifuoco, non puoi girare per l’universo a quest’ora. Tanto meno da sola. Non voglio che ti succeda niente. Dico afferrandole il braccio e guardandola negli occhi con colpa e preoccupazione.
–A volte non sembra, sai? Perché mi guarda così? Dovrebbe sapere che ci tengo molto a lei.
La lascio, mi giro, prendo le buste che ha fatto cadere, e mi dirigo verso l’interno dell’abitazione.
–Dai, entra e fai poche storie. Nemmeno la guardo quando glielo dico, si accorgerebbe di troppe cose. La nostalgia che mi sale quando parliamo del passato mi supera, sempre. Può con tutte le mie forze e con ogni mio impegno di cercare di dimenticare.
Arrivo in cucina, appoggio tutto sul tavolo mentre sento le voci dei piccoli che ridono e probabilmente saltano sul divano. Non avendone uno in casa, capisco la loro eccitazione.
Alzo lo sguardo e per sbaglio finisco nuovamente a guardare quell’orologio. Dio, la conversazione con Martha mi ha innervosita, ora ho solo voglia di afferrare quell’oggetto e scagliarlo contro il muro, ho voglia vederlo rotto in mille pezzi.
Sento la porta principale chiudersi, poi dei passi, ed aspetto paziente fino a che una mano si appoggia dietro la mia testa, lasciandovi delle carezze, tra il collo e i capelli, ormai corti anche se ancora scuri. La mano è fredda e mi fa percepire un brivido lungo tutta la schiena. Cerco di rilassare tutti i muscoli che avevo teso per la rabbia, e mi lascio coccolare per qualche secondo. Quanto tempo che non sentivo il calore umano. Quanto tempo che non sentivo affetto. Qui sembrano sempre tutti così freddi ed indifferenti. Sento che le lacrime vorrebbero spingersi oltre le palpebre che avevo chiuso per il piacere del contatto, ma le ricaccio indietro. Non posso.
–Devo dirti una cosa.
Che c’è ancora. Non sono in vena di sorprese, non oggi che è l’anniversario di tutto questo dolore. L’unico giorno in cui sento che soffro ancor di più, e l’unico in cui vorrei dimenticare. Rimango in silenzio, apro gli occhi e mi stacco dal contatto, però non la guardo. Mi avvicino al trasportatore di cibo e digito ciò che voglio. Ho bisogno di un bicchiere d’acqua. Devo far passare il magone che sento.
–Potresti almeno guardarmi, lo sai? Lo so, lo so che dovrei, ma non mi va. Arriva ciò che ho chiesto e mi porto velocemente il bicchiere alla bocca, butto giù il liquido e rispedisco il bicchiere da dove è venuto.
– Gliel’ho detto. Silenzio. Solo lo scoccare delle lancette di quello stramaledetto orologio. Inutile. –Non dici niente? Ancora silenzio assordante, scandito dalle lancette e dalle risate dei piccoli. –Diamine, preferisco le urla a questo, non pensavo che l’avrei mai detto.
– Cosa vuoi che ti dica Martha, sinceramente? Respiro profondamente cercando di calmarmi. –E loro?
– E loro sono curiosi. Gli ho detto che non è il caso che ti chiedano di parlarne, ma lo sai come sono. Quasi mi viene da sorridere, ma poi penso a cosa ciò significhi.
– Perché?
– Hanno trovato delle foto. Le tue precisamente, quelle che non vuoi tenere in casa tua. È inutile fare la superiore con me. Se fosse possibile, anche lei cancellerebbe tutto dalla sua memoria, ne sono convinta. –Te le ho portate, sono nella busta rossa. Così, se ti degni di raccontargli qualcosa, sai da dove partire. Mi guarda con rabbia e un po’ di delusione. Ma delusa di cosa, Martha? Sono io che non so che fare, che voglio piangere e rompere quel maledetto orologio. Si gira ed esce dalla cucina, sparendo dalla mia visuale, mentre si toglie il copricapo con trasportatore di ossigeno, il cappotto e la sciarpa. Va verso il salone, dove si trovano i piccoli e dopo qualche minuto sento che ha iniziato a ridere con loro. Chiudo fortemente gli occhi e mi porto il pollice e l’indice a stringere il ponte del naso, con frustrazione. Mi appoggio con i fianchi al banco della cucina e sospiro. Non so se mi sta assalendo di più la rabbia o il disgusto. Guardo prima la busta, poi di nuovo l’orologio. Lo maledico, mormorando in modo che solo io mi senta. Non doveva finire così, e la colpa è solo nostra.
Parte prima
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 20:00 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
Non so precisamente che ore sono o quanto tempo è passato; da quando Martha ha lasciato la cucina non sono riuscita a far altro che cercare qualcosa per distrarmi ed evitare di incontrarli. È ridicolo tutto ciò, sono in casa mia, e li ho invitati io, è la nostra tradizione ormai da qualche anno. Ma che adesso loro sappiano e soprattutto che abbiano voglia di sapere mi destabilizza. A parte la lingua, non volevo che venissero a conoscenza del mio passato. Sembro contraddittoria anche a me stessa, ma voglio che le cose stiano così. Anzi, ormai devo usare un passato. Volevo che le cose andassero così, ma niente va mai come pianifico, questo avrei dovuto impararlo a tempo debito. L’orologio continua a funzionare, imperterrito, indifferente davanti alla mia rabbia. Perché mi sono portata dietro proprio questo oggetto da quando la Terra è diventata inabitabile me lo sto ancora chiedendo, soprattutto oggi. Mi avvicino al trasportatore di cibo. Lo accarezzo come se percepisse qualcosa. Come se servisse a qualcosa, in realtà. Ormai nutrirsi non è più come lo era una volta per me, ora si va avanti con pillole nutrienti, che già contengono tutte le sostanze necessarie. Mangiare e bere come una volta ora è superfluo, anzi, se qualcuno mi vedesse farlo mi considererebbe quasi un’eretica. Sprecare materia per nutrirmi quando posso semplicemente assumere sostanze senza creare sprechi qui è visto male. Noi umani siamo visti male. A volte mi chiedo se questi non abbiano ragione a vederci così, in fondo.
Guardo ancora quest’oggetto relativamente inutile e decido che è arrivata l’ora di uscire dal mio nascondiglio, non posso seriamente continuare a stare qui, così. E poi in realtà ho solo voglia di stare con Cc32 e Cc31. Sono l’unica cosa bella che ho. Spero solo che non mi chiedano niente di quello che ora sanno, e che per una volta ascoltino Martha.
Metto un piede fuori dalla cucina con un po’ d’ansia. Non passano neanche pochi secondi, che mi sento due corpicini addosso. Le loro quattro braccia cada uno mi rendono molto più impacciata nel cercare di tenerli in braccio, sono difficili da gestire, soprattutto quando sono ancora piccoli e non controllano tutti i loro arti alla perfezione.
–Tataaaa! Mi urlano in coro. –Finalmente sei uscita!
–Eh sì, stavo sistemando delle cose, ma sappiate che vi ho sentiti mentre saltavate sul mio divano. Faccio la finta arrabbiata.
Entrambi scoppiano a ridere e io cerco di trattenermi dal non farmi contagiare. Poi iniziano a farmi gli occhioni dolci (occhioni nel senso letterale, hanno degli occhi enormi quando sono piccoli, più grandi del viso), ed allora io non resisto e li abbraccio a me.
–La mamma ci ha detto che non dovevamo disturbarti perché eri un po’ triste, per questo abbiamo continuato a giocare senza di te. Mi sussurra Cc31 all’orecchio, per poi nascondere il viso nell’incavo del mio collo e abbracciarmi con più forza. Grazie a Dio per una volta l’hanno ascoltata. Che poi quale Dio o divinità, qui queste cose non esistono.
Ricaccio indietro i brutti pensieri cerco di mettere giù le due pesti, che mi stanno stringendo con troppa forza, senza accorgersene. Appena li poso a terra porto le mani al collo per massaggiarmelo. Mi avranno lasciato dei segni, ho sempre avuto la pelle molto delicata, e la loro forza superiore alla mia capacità di resistenza non aiuta per niente.
–Tranquilli, la Tata ora sta bene. Mentre pronuncio questa frase alzo lo sguardo e la vedo, seduta sul divano. Mi guarda con i suoi occhi di grandezza “umana”, e a me viene solo da piangere ancora di più. Sa che mento, ma ovviamente non lo dirà davanti a loro.
–Tata, ormai siamo grandi, ci racconti davvero il tuo passato sulla Terra? Mi chiede Cc32. Lui è sempre stato il più sfacciato, da quando era stato monitorato il suo sviluppo, prima che diventasse a tutti gli effetti ciò che è, ed avevamo chiesto, con Martha, di descriverci a grandi linee la sua personalità, ci era stato detto. Nonostante ciò non posso evitare di strozzarmi quasi con la mia stessa saliva.
Si alza di scatto dalla sua postazione e guarda il piccolo con sdegno.
–Cc32! Ti avevo detto che non era il caso di tirare fuori l’argomento! Almeno non oggi ….
Al piccolo iniziano a gonfiarsi gli occhi e io non so cosa fare, sto per avere un attacco di panico.
–Va bene … Sussurro così piano che quasi dubito che mi abbiano sentito.
Il piccolo mi guarda sorridente, così come Cc31, mentre Martha apre la bocca con sorpresa.
–Non sei obbligata se non vuoi …
–No, va bene, ma racconterò solo una parte. Non posso raccontare tutto, non ce la farei.
–D’accordo. Ma se vedi che non riesci ad andare oltre un certo punto …
–Ho capito, Martha. Non voglio parlarle così, ma mi sta salendo la nausea. Vedo la tristezza attraversarle gli occhi in un lampo e non resisto. Mi avvicino ed allungo una mano per accarezzarle il volto. Il suo corpo almeno emana ancora calore, come il mio.
–Scusami. Sussurro piano, in modo che solo lei mi senta. –Grazie, ma ce la faccio. Solo una parte.
–Va bene. Mi risponde con lo stesso tono, sfregando la guancia contro il palmo della mia mano. Anche tu senti la mancanza di questo calore, vero?
Senza staccare gli occhi dal suo viso chiedo ai piccoli di andare a prendere le foto che avete portato a casa. Anche io ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa per raccontare come gli uomini siano riusciti a distruggere un pianeta. E ad autodistruggersi.
Le risate di eccitazione dei mostriciattoli mi fanno uscire dallo stato catatonico in cui mi trovavo, e mi stacco bruscamente da Martha. Tanto, dopo tanti anni, sarà abituata a questi miei continui sbalzi di umore. Le chiedo scusa in silenzio. Prendo l’album fotografico che mi stanno porgendo e lo accarezzo. Quanto tempo è passato. Ormai le foto non esistono neanche più, per Cc32 e Cc31 deve essere un reperto storico rarissimo da trovare.
Li guardo, la guardo, e sospirando mi siedo sul divano, chiedendo a loro di sedersi in terra, davanti a me, e a lei faccio segno di sedersi di fianco a me, sul divano. Un po’ di calore umano mi farà bene, mentre affogo nei ricordi.
-E va bene allora, vi racconterò qualcosa.
Parte seconda
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 20:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
–Il 2020 fu un anno davvero terribile. Non so nemmeno come potevamo semplicemente pensare che tutto alla fine tornasse ad essere come prima. Sono passati solo 69 anni, ma sono cambiate tantissime cose, troppe. Lì tutto era diverso, forse più naturale. Ma fu la stessa Natura che ci si rivoltò contro. E con ragione. Noi umani non avevamo rispetto di niente e nessuno. Tutto era nostro, in nostro possesso. Così ci sembrava. Ci piaceva illuderci. Quando andavo a scuola tanti professori ci spiegavano come questa illusione ci avrebbe portati ad un punto di non ritorno, eppure niente cambiava. Ancora non so bene se la colpa fu di noi ragazzi, che ci interessammo poco al tema, credendo di avere tempo a disposizione per cambiare le cose, o se fu degli “adulti”, che avendo già vissuto la maggior parte della loro vita non si facevano più scrupoli. Nemmeno al pensare ai loro figli o nipoti.
–Davvero eravate così cattivi?
–Non è che fossimo così tutti, o in ogni aspetto delle nostre vite. Avevamo anche noi i nostri aspetti positivi. Così mi piace pensarlo. Eravamo appassionati e passionali, o almeno la maggior parte di umani che sono entrati nella mia vita lo erano. Ho vissuto benissimo con loro, soprattutto nel periodo del liceo. Ricordo tutti i miei amici. Mi fermo per respirare profondamente e sento che qualcuno mi stringe una mano. La guardo e recupero le forze necessarie per continuare. Ci divertivamo da morire, ed ognuno di noi aveva aspirazioni per il futuro. Intanto a volte ci preoccupavamo anche di come stava andando il mondo, e parlavamo di cosa potevamo fare per migliorarlo. In fondo, non eravamo così male.
–Vi facevate guerre da soli … Dice confuso Cc32.
–Cc32! Devo trovare un filtro da inserire tra la tua mente e la tua bocca. Dice innervosita. Li guardo sorridendo. So che questo lato del carattere l’ha preso da lei, anzi, sono sicura, ma non glielo dirò mai.
–È vero, ci uccidevamo tra di noi senza un motivo valido spesso. Eravamo così. Con un po’ di rispetto ci sarebbe stato spazio per tutti. Io volevo studiare i conflitti che affliggevano il mio mondo, ma non ho avuto tempo. Nessuno lo ha avuto. Dal 2020 in poi qualcosa è cambiato, ed è stato inarrestabile.
–Che cosa è successo? Chiede ormai seriamente curioso Cc31.
–La Natura pare si sia svegliata. Sussurra Martha ai suoi bambini.
–Sì, qualcosa del genere. Vostra madre era ancora piccola, ma io lo ricordo bene. Quell’anno successe ciò che non credevo mai di poter vedere, non mi sono mai piaciute le storie fantascientifiche, sinceramente. A distanza di anni e di anni-luce mi rendo conto che la vera malattia che ci faceva marcire da dentro era l’ignoranza. Per questo dovreste ascoltare vostra madre quando vi dice di studiare. Li guardo con rimprovero. Insomma per farla breve, quell’anno scoppiò una pandemia mondiale e …
–Come è possibile! Gridano in coro, mentre alla mia amica veniva da ridere. Anche a me in realtà.
–Non credo che nessuno saprà mai davvero il come e il perché ormai, ma come dicevo l’ignoranza giocò un ruolo fondamentale. Ma ora non voglio parlare di questo, farebbe davvero troppo male. Vi volevo raccontare di come sono finita qui, con Martha. Del perché, ed è un’altra storia.
Mi guardano con una luce negli occhi che mi fa chiedere perché non gliel’ho mai raccontato prima. Giro il volto, e l’unica cosa che posso fare è appoggiare la testa a quella di Martha, sospirando. Ultimamente sospiro spesso. Ricambia con una carezza dietro la nuca, e capisco che devo sbrigarmi a raccontarlo, altrimenti non ci riuscirò più.
Parte terza
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 21:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
–A quei tempi questo periodo era chiamato Natale. Cioè, il 25 dicembre era la giornata di Natale, il 31 era conosciuto come Capodanno. Tutto il periodo erano le “feste natalizie”. La Terra si riempiva di colori, addobbi, luci. Persone in generale felici. Ci scambiavamo regali, mangiavamo tantissimo, ma mangiavamo davvero. Cibo.
–Ma è spreco …
–Non lo era per noi. Era il nostro modo di vivere. Ma c’era un certo equilibrio. Tutto tornava, era un ciclo perfetto. O almeno così doveva essere, così era stato organizzato. Ma noi avevamo deciso di rovinare tutto da qualche centinaio di anni. O forse, in realtà, da sempre, da quando abbiamo “preso il controllo” sulla Terra. Comunque, quell’anno non mi trovavo a casa mia. Quel Natale mi trovavo presso i miei parenti nel sud di quella che era l’Italia, il mio paese d’origine.
–Quella con la forma di stivale? Dice emozionato Cc31.
–Sì, proprio quella. Insomma, quell’anno mi trovavo lì per motivi poco gradevoli, diciamo. In piena pandemia come vi ho detto, un mio caro parente si ammalò, e morì. Mi fermo un attimo a riprendere fiato. Eravamo andati lì circa un mese dopo questo avvenimento, sapete, c’era la tradizione del funerale in Chiesa. Quella specie di celebrazione per salutare il defunto insomma. Io non ero credente, ma la mia famiglia sì, quindi era quello che dovevamo fare. Nonostante ciò, volevo salutare mio nonno per l’ultima volta. Quindi, approfittando della tregua dalle restrizioni che ci era stata concessa, ci spostammo per poco tempo lì. Se ci ripenso, se non l’avessimo mai fatto forse le cose per me sarebbero diverse …
–Forse non saresti qui, e sicuramente non mi avresti conosciuta. Afferma Martha con sicurezza e rammarico.
–Hai ragione. Però forse adesso tutta la mia famiglia sarebbe ancora con me. Il dolore stava iniziando ad opprimermi il petto, avevo voglia di aprirmi a metà e liberarmi da quel nodo stringente.
–Cosa successe Tata? Amo Cc32, ma a volte è troppo insistente. Mi alzo lasciando l’album fotografico sul divano e iniziando a camminare avanti e indietro per il salone. Ancora poco e scavo un solco nel pavimento di casa mia.
–Nessuno sapeva niente, a nessuno interessava. Lì intorno era tutto corruzione, la vita di quei disgraziati non importava a nessuno.
–La vita di chi? Chiede Cc31. Martha si avvicina per cercare di calmarmi, sembrava che stessi iniziando a essere completamente fuori di me.
–Vicino ai paesini dei miei genitori, famosi nei dintorni ma non per cose positive, c’era il Vesuvio. O meglio, non era vicinissimo, ma a quanto pare lo era sufficientemente per permettere una catastrofe. Il Vesuvio era un vulcano, probabilmente il più famoso d’Italia. Sapete no della storia di Pompei?
–Pom … che? Chiedono. Com’è possibile che non sappiano. Cioè, so come sia possibile, è anche colpa mia per non averli istruiti.
–Pompei. Va bene, guardate le foto. I piccoli si lanciano sull’album con curiosità. Non credo di essere stata mai bravissima a storia, ma ci sono alcune cose che vanno sapute. No, “andavano”. Ormai non importano più, gli uomini non importano più.
–Andai a visitare quel posto con la mia famiglia quando ero piccola come voi. Pompei era una cittadina romana, che moltissimo tempo fa, in un anno chiamato 79 “dopo Cristo”, cioè circa ottant’anni dopo la scesa sulla Terra di colui che per molti era considerato il figlio di Dio, fu sommersa dalla lava e dalle ceneri del Vesuvio. Sono passati quasi duemila anni, ciò che ne rimase non fu altro che corpi e rovine ricoperte da quel materiale anticamente bollente, che si è solidificato col tempo, e che ha lasciato le tracce del suo inesorabile passaggio. Ai miei tempi ovviamente Pompei non esisteva più, solo era un posto da visitare, un posto in cui era possibile vedere corpi abbracciati, persone che si erano addormentate convinte che il giorno dopo sarebbe stato tutto come quello precedente, ma non fu così. Quel posto doveva solo aiutarci a non dimenticare, a non prendere sotto gamba la Natura e la sua potenza, e invece … A quel punto della storia non ero altro che lacrime, che ribelli scendevano dai miei occhi, lasciando solchi sul mio viso. E Martha eri lì, pronta ad accarezzarmi, A cercare di alleggerire questa pena, perché faceva questo con me, alleggeriva le mie pene. –E nonostante avessimo una marea di prove, nonostante avessimo montagne di resti e ricordi del passato, di ciò che ci aveva distrutto, e di ciò che avevamo già sbagliato, la memoria dell’uomo era corta, cortissima. O forse era la volontà ad esserlo. Tutti sapevamo che costruire abitazioni fin sotto i piedi del Vesuvio non era normale, come poteva esserlo? La Natura è distruttiva da migliaia di chilometri di distanza, figuriamoci cosa potrebbe succedere se ci viene in mente di sfidarla con superbia. Perché questo è quello che facevamo continuamente, la guardavamo in faccia e la sfidavamo, come se potessimo essere più forti di colei che ci ha creati. E con rabbia colpisco la lampada che si trova sul tavolino del salone, sotto la finestra dove ero appoggiata prima che arrivassero. Martha sobbalza, così come i bambini. Perché mi guardano così preoccupati? Si avvicina con calma e mi afferra la mano, delicatamente. La alza e allora capisco. Mi sono tagliata. Va bene però, non importa, non fa neanche male, sta facendo più male a loro. Guardo i piccoli, sono spaventati e curiosi. Loro non sanno nemmeno cosa sia il sangue.
–Vado a curarmi. Torno subito.
Martha si avvicina, ma corro via. Ho bisogno di pace per qualche minuto, lo capisci?
Parte quarta
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 22:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
Ci ho impiegato molto più tempo di quanto il taglio lo richiedesse, ma avevo bisogno di una pausa, almeno pochi minuti. Che poi qui, cosa sono i minuti? Esco dal bagno con la fascia sulla mano. Passo dal salotto e vedo che avete raccolto il disastro che ho combinato. Siete il meglio che mi potesse succedere dopo tutto. Li guardo e faccio apparire un timido sorriso sul mio volto. Lei mi guarda e ricambia, i piccoli ora sembrano tranquilli.
–Mi faccio arrivare una camomilla e torno da voi. Sussurro. Non voglio rompere la calma che pare si sia instaurata.
Entro in cucina e lo sento. Ancora. Ma la vuoi smettere? Mi ricorda solo il tempo passato. Tempo. Che parola impegnativa. Sempre ho creduto di averne a disposizione una quantità illimitata, ma mi sbagliavo. E ora che invece ce l’ho davvero non so che farmene. 22:33 della notte di Capodanno. A quest’ora sarei stata fuori coi miei migliori amici, sarei stata in una piazza a parlare di tutto e di niente. Di amore e di scuola. Di futuro. Dell’anno che stava a punto di entrare e che doveva per forza essere meglio di quello che stava finendo, finalmente. Mamma e papà mi avrebbero mandato le foto della loro cena con il resto della famiglia, imbarazzanti sì, ma che ora mi farebbero scaldare il cuore. Mio fratello sarebbe stato in un’ altra piazza, anche lui coi suoi amici, evitandomi come la peste, o come il Covid. Anche questo mi manca. Ma ora che me ne faccio di sapere che ore sono. E mentre io penso e vedo arrivare la mia camomilla tu continui ad andare avanti nel tuo moto infinito. Ti giuro che prima di mezzanotte ti stampo contro la parete. Afferro in fretta la tazza col liquido fumante e torno in salotto. Mi siedo con calma sul divano, accanto a Martha. Vorrei capire perchè mi guarda sempre così. Mi fa male. Sembra che voglia proteggermi sempre, e non è possibile. Non ne ho bisogno. Guardo i mostriciattoli e sorrido, mentre la tazza scalda le mie mani fredde.
–Allora … Avete guardato meglio le foto?
–Sì … Sussurrano. Vorrei non averli spaventati così.
–Forse è meglio che non continui, sai.
–So io cosa è meglio.
–E allora fai come vuoi, come fai sempre del resto.
Si alza e si avvicina alla grande finestra. La seguo con lo sguardo e mi sento colpevole. Perdonami.
–Dove eravamo rimasti?
–Alle case costruite sotto i piedi del vulcano. Afferma contento Cc31.
–Certo che voi umani eravate proprio stupidi, eh. Auch! Cc32 si porta una delle 4 mani su una delle due braccia destre che il fratello gli ha appena colpito. Ha una lingua lunga, lo so.
–Hai ragione. Ma la nostra irresponsabilità era più forte di noi. E la nostra ignoranza anche. Quel posto era un luogo in cui il pericolo era molto alto, era risaputo e era ovvio anche ai meno intelligenti. Eppure scelsero di non evitare il rischio. Tutto intorno il vulcano era circondato da case, attività, da qualsiasi tipo di edificio. A nessuno interessava più di quella bestia che non era per niente addormentata. Pompei era lì vicino, avevamo la prova di quello che era capace di fare. Eppure costruire era più importante. Più importante di salvaguardare vite. Tutte quelle persone erano come quelle ormai statue di uomini che si addormentarono nella convinzione di un domani uguale all’oggi. Ma quel 31 dicembre non fu così. Erano giorni che si sentivano suoni strani proveniente dal vulcano. Anche la terra sembrava che stesse iniziando a tremare. Le acque erano sempre agitate. Stava per succedere qualcosa, era ovvio. Avevano cercato di avvertire la popolazione. Sapevano cosa stava per accadere. Sospiro, così come Martha. –C’era qualcosa che non stava andando come sempre, e tante cose erano cambiate dall’esplosione del Vesuvio del 79 d.C. Era impossibile prevedere ogni passo che la Natura avrebbe fatto, ma fare stime non lo era, e alcuni segnali erano chiari.
-Io sarei scappato via. Dice con superiorità Cc32.
-Sì, anche io. Afferma un po’ più timido Cc31.
Alzo lo sguardo verso l’altra adulta della stanza. So che sta pensando la stessa cosa che sto pensando io, lo sento.
–Già. Era l’unica cosa fattibile. Ormai tutti gli edifici erano costruiti là intorno, era impossibile spostare migliaia di persone da quel posto. L’unica opzione sarebbe stata scappare. E erano stati organizzati dei piani per la fuga, sapete? Sapevano che sarebbe stato inevitabile prima o poi.
-Quindi c’era una possibilità?
-Certo che c’era, ma nessuno si informava e a nessuno interessava. Quei posti sono sempre stati lasciati un po’ a loro stessi. Vi dicevo appunto che, finito il trimestre scolastico, con la mia famiglia andammo in quei luoghi. Ma la Natura era agitata. Appena arrivati ne parlammo coi miei zii, ma nessuno ci credeva, e poi loro non erano delimitati nella “zona rossa” intorno al Vesuvio. Parlare di zone a colori mi fa salire un brivido freddo lungo la schiena. Dopo tanti anni la sensazione di trappola resta sempre la stessa, incredibile. Anche Martha mi guarda con rammarico. Lo so. –Loro non erano così vicini al pericolo, mi dicevano. Ma era risaputo che i vulcani non producessero solo lava. Le ceneri e i gas sarebbero arrivati molto più lontano, inquinando l’aria. Il mare, davanti a quei forti movimenti sotto la crosta, non sarebbe rimasto fermo a guardare come spettatore. E in più l’Italia era un paese ad alto rischio sismico. Insomma, avete capito, chi più ne ha, più ne metta. Alla televisione …
-La cosa?
-Era l’antenato del proiettore di ologrammi che usate ora per vedere i film che vi piacciono.
-Wow! Che cose antiquate!
Soffoco una risata, così come la mia amica. –Vero, ma per noi era tutto all’avanguardia.
-Voi umani siete sempre stati così indietro. Dice Cc32 con sdegno.
–Ora lo so, ma all’epoca non sapevamo nemmeno dell’esistenza di esseri come voi in tutto l’universo. Comunque dicevo che, la stessa sera, alla televisione, iniziarono a mandare filmati della Protezione Civile che avvertivano del rischio imminente che stava per abbattersi in quel territorio. Tenete conto che intanto era in corso una pandemia, Gli U.S.A. stavano vivendo una guerra interna che Russia e Corea stavano sfruttando a loro vantaggio. La Francia era sotto attacco dai paesi del Medio Oriente … Insomma, tutto era un disastro anche nel resto del mondo (e il meglio doveva ancora arrivare). Ma a guardare quegli spot, nessuno ci voleva credere. Tutti presero quello come una leggerezza, nessuno diceva con chiarezza le parole giuste: “eruzione”, “terremoto”, “inondazione”. Tutto sarebbe arrivato insieme, in maniera funesta ed inarrestabile. Solo i miei genitori iniziarono a preoccuparsi sul serio. Abbasso lo sguardo sulla tazza che avevo tra le mani, ormai vuota e fredda.
–E cosa successe? Chiede con ansia Cc31. Ho bisogno di una pausa e Martha lo capisce. Si allontana dalla finestra e si siede sul divano, a fianco a me.
–Puoi farmi arrivare una camomilla anche a me? Chiede con dolcezza. Mi alzo di scatto e mormoro: -Certo, arrivo subito. Mi avvio in fretta in cucina, e solo una volta dentro torno a respirare davvero. Ricaccio indietro le lacrime e appoggio le mani sul manco della cucina. Dai, manca poco.
Parte quinta
_ _ 31 DICEMBRE 2089 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 23:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
23:30, incredibile. Continui a funzionare. Ma lo vuoi capire che “tempo” non significa niente? Non ne abbiamo quanto ne vogliamo, non è a nostra disposizione. Dovevamo capirlo noi umani, che ce lo lasciavamo scorrere tra le dita come sabbia. Ma che tu continui a sbattermi in faccia la realtà mi irrita molto. Ormai l’ho capito, potresti anche smetterla. Adesso basta. Mi avvicino a quell’aggeggio per staccarlo definitivamente dal muro ma una voce mi ferma.
–Cosa stai combinando?
-Niente, lascia perdere.
-No che non lascio perdere. Lascia lì l’orologio e dammi la mia camomilla, dai. Non ne bevo una da tanto tempo.
-Sei tu che non passi mai di qui. E poi potresti comprarti anche tu un trasportatore di cibo, se ti va. Mi allontano dal muro e prendo la nuova tazza con la camomilla. Gliel’avvicino e l’afferra, senza sfiorarmi.
-Non so mai con che umore ti troverò, non ho sempre voglia di litigare con te, sai? Sospira rassegnata. – Non sei più la ragazza di una volta.
-Sono passati settant’anni umani, cosa pretendi.
-Anche per me sono passati, dannazione. Sbatte con rabbia una mano sul tavolo. Non mi muovo. –Anche per me sono passati, eppure continuo ad essere gentile. Si sbriga a buttare giù la tisana.
–Siamo due persone diverse. Tu non hai perso nessuno, io sì. Mi pento subito dopo di quello che ho detto. Altro che a Cc32, il filtro serve a me. -Scusami, non volevo dire questo …
-Sì che volevi. Ma sai che c’è? Ormai puoi dirmi quello che vuoi, hai ragione tu. È vero, non avevo nessuno. Ma io ho trovato te. È inutile continuare a guardare a un passato che non c’è più.
-Qui non esiste nemmeno il futuro.
-Ma il presente sì! Per noi almeno! E io ho solo te. Non sono io che voglio ricordare il passato, ma sei tu. Tu ti aggrappi ancora a quello che c’era, a quello che poteva essere fatto e non è stato. Abbiamo sempre sbagliato, ora è inutile piangere.
-Non volevo che finisse così, avevamo tanto da dare.
-Perché credi che io invece lo volessi? Che diavolo di considerazione fai? Ma il passato non si cambia, tutto continua a fluire anche contro la nostra volontà, e l’unica che pare non volerlo capire sei proprio tu. Conclude il discorso rispedendo la tazza da dove è arrivata e se ne va dalla cucina. Posso quasi vedere il fumo uscirle dalle orecchie. Perché mi sembra che qui non si respiri bene? Vado a controllare, ma il produttore di ossigeno della casa mi mostra tutti i valori corretti. Ok, allora sono io che respiro male. Ha ragione, come sempre.
Torno in salotto e mi lascio cadere ancora sul divano. È ancora vicino alla finestra, lontana da me. La guardo, so che sente il mio sguardo, ma mi ignora. Fa bene, fossi stata in lei avrei iniziato a farlo tanto tempo fa.
–Dai Tata, finisci! I piccoli mi saltano addosso, ed io ovviamente non posso negarmi.
–Sì. Ero rimasta a che i miei genitori furono gli unici che iniziarono seriamente a preoccuparsi. Se le autorità dicevano così c’era da fidarsi. E poi da quell’anno niente era più scontato, dovevamo aspettarci di tutto. Forse più persone avrebbero dovuto ragionare come loro. Il 31 dicembre del 2020 comprarono dei biglietti del treno per me e mio fratello, che partivano dalla stazione più vicina. Ci diedero i biglietti, e in fretta quella mattina ci dissero di andare via, che ci avrebbero raggiunti il giorno dopo. Avevano comprato quattro biglietti, ma dovevano risolvere delle questioni familiari, quindi decisero di rimanere un giorno in più. Solo uno. A quel punto è inevitabile che una lacrima scenda sul mio viso. Non mi guarda, ma so che anche lei sta piangendo. –Convinti e tranquilli, credendo che sarebbe andato tutto bene, ci dirigemmo alla stazione. Fu lì che incontrai vostra madre. Finalmente incrociamo lo sguardo. –Era piccola e sola, persa in quell’enorme stazione e infreddolita. La portammo con noi, non avevamo niente da perdere. Avvertimmo i nostri genitori del fatto che avevamo un nuovo membro in famiglia e loro erano davvero contenti ed orgogliosi di noi. Fu l’ultima volta che li sentimmo.
-Perché? Dove sono andati? Chiede Cc32. È la prima volta che lo sento così preoccupato. Sorrido un po’.
-Non lo so. Il giorno dopo non sono mai arrivati. Il vulcano eruttò quella notte stessa. La terra intorno tremò per interminabili sette minuti circa e buttò giù ogni cosa. Il mare si mosse travolgendo tutta la costa. Tutto si stava ripetendo come nel passato, come in quel lontano 79 d.C., solo che questa volta c’ero anche io per vederlo. Solo che questa volta anche la mia famiglia diventò parte di quella calamità. Sono diventati i nuovi abitanti di Pompei.
-Ma le vie di fuga? Le autorità non le avevano già organizzate? Potevano scappare.
-Impossibile, era tardi. Nessuno ci aveva creduto fino a quel momento. A quel punto era impossibile nascondersi. Solo i gas che escono dal vulcano, insieme alla lava, scendevano dai fianchi del monte ad una velocità irraggiungibile all’epoca per noi esseri umani. E poi dai porti come potevamo scappare? C’era un maremoto in corso, che per quanto non fosse un oceano, bastò abbondantemente a distruggere più di metà della regione. E la gente urlava e correva spaventata, ma ormai era troppo tardi, non avevano voluto ascoltare.
-Allora i tuoi genitori … Chiede a voce bassa Cc31.
-Sono sicuramente rimasti travolti. Non ho mai più saputo niente di loro, nemmeno mio fratello.
-E lui, dov’è ora?
-Lui è nel Regno n° 53. Stamattina gli ho spedito una lettera.
-Come avete fatto ad essere così stupidi? Vivere lì, così vicino al pericolo era veramente azzardato, ma non ascoltare nemmeno ciò che veniva detto da quegli intelligentoni che avevano previsto tutto… Ma allora voi … Come siete sopravvissute?Cosa successe poi nel resto della Terra? Cioè, come siete arrivate qui? Pochi umani hanno avuto questo privilegio.
Ci guardiamo con nostalgia. So che mi ha perdonata già per il tono che ho usato prima. Io non ho più voglia e forza di parlare, con lo sguardo le faccio capire che è meglio che io mi fermi.
–Questa è un’altra storia, troppo lunga, e ora è tardi. Ve la racconto io la prossima volta che veniamo a trovare la Tata, d’accordo?
-E va bene mamma … Concedono in coro i piccoli. Io sorrido loro con calma. Sono stanca, ma ho solo parlato.
–Dai, adesso ce ne andiamo, preparatevi.
E così, Cc32 e Cc31 corrono a riprendere le cose che hanno lasciato per la stanza. Martha si avvicina ed io mi alzo. Non resisto e l’abbraccio, mi era mancata e non so nemmeno il perché. Mi stringe con più forza, come cercando di mantenermi insieme, per non farmi scappare via.
–Grazie per averglielo raccontato.
-Figurati.
Ci allontaniamo. È l’ora.
Parte sesta
Epilogo
_ _ 01 GENNAIO 2090 _ _ Regno n° 730 _ _ Abitazione 324_ _
Ore 00:30 (secondo la suddivisione del tempo degli umani)
Vi guardo dall’uscio della porta mentre vi allontanate. Siete così carini, imbacuccati tutti e tre fino ai capelli. Cioè, Martha fino ai capelli, I piccoli fino alla testa e basta, non hanno capelli. Tira un bel venticello adesso, spero facciate attenzione. Tu ti giri e mi guardi un’ultima volta, prima di sparire dalla mia visuale. Sospiro e rientro nella mia abitazione.
Tutto è silenzio adesso.
Dopo poco mi accorgo però ancora del suono delle lancette dell’orologio. Chiudo gli occhi un attimo. Alla fine non ti ho rotto. Meglio così. L’album di fotografie è ancora sul divano, aperto. Non voglio avvicinarmi, non voglio far riaffiorare ancora ricordi.
Mi dirigo in cucina. 00.34. Cavolo, è iniziato un nuovo anno. Pensiamo di essere sempre in tempo, e non sappiamo quanto ci sbagliamo. Tutto scorre, e noi facciamo finta che non sia così. Se qualcosa non va bene ci ripetiamo sempre la solita cantilena: “c’è tempo”. Ma non è vero niente. Le cose o si fanno subito, o non si fanno più. O si agisce quando è tempo o diventa impossibile arrestare l’inarrestabile. E tu, col tuo moto continuo, che è sempre lo stesso, me lo ricordi ancora, anche se qui il tempo non esiste più. Noi uomini l’abbiamo finito, l’abbiamo sfruttato fino all’inverosimile.
Chiusi nelle nostre convinzioni e nei nostri limiti autoimposti non avevamo il coraggio di spingerci oltre, per curare ciò che ci circondava.
Ma noi, nelle nostre menti, siamo sicuri?
Guardo, per un’ultima volta ancora, l’oggetto in questione. Mi sento molto affaticata. Pensare troppo non mi ha mai fatto bene.
Spengo la luce della cucina e, immersa nel buio dell’abitazione, mi dirigo verso la mia stanza.
Tic, toc.